Psiche e psichiatria
N. 12 (64/2001).
A cura di F. Carrara + Quaderni 1, Lettere tra Ernst Bernhard e Carl Gustav
Jung - 1934/1959, a cura di G. Sorge
Editoriale
1)
Psiche e psichiatria.
Questo apparente calembour è dotato di un affascinante alone semantico
che rimanda ad una molteplicità di sensi, schematizzabile in una
serie di interrogativi, tra cui: esiste un rapporto tra ciò che
chiamiamo psiche e ciò che chiamiamo psichiatria, al di là
di quello linguistico immediatamente evidente? Se, come noi crediamo,
la risposta è affermativa, di che natura è questo rapporto?
Cosa fa la psichiatria per la psiche, e cosa fa la psiche per la psichiatria?
Come si incontrano, come si confrontano, come collaborano, come si ostacolano?
E' possibile un uso psichico della psichiatria, ed un uso psichiatrico
della psiche? La psiche può fare a meno della psichiatria, e la
psichiatria della psiche? Si può - parafrasando Hillman - 'fare
psiche', facendo psichiatria? Si può fare psichiatria, rinunciando
a 'fare psiche'?
2)
Nel 2001 la Giornata
Mondiale della Salute è stata dedicata, il 7 aprile, alla Salute
Mentale. Nel messaggio della dott.ssa Gro Harlem Brundtland, direttore
generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si parla di
una strada lunga, e "ingombra di miti, segreti e vergogne",
per giungere, come è stato fatto per altri campi della medicina
negli ultimi cinquant'anni, a far sì che una buona salute significhi
anche una buona salute mentale.
"La semplice verità
è che noi abbiamo i mezzi per trattare molti disturbi. Noi abbiamo
i mezzi e le conoscenze scientifiche per aiutare le persone nella loro
sofferenza. I governi sono stati negligenti in quanto non hanno fornito
strumenti adeguati di trattamento alla loro gente. E la gente ha continuato
a discriminare coloro che soffrono di questi disturbi. Le violazioni dei
diritti umani negli ospedali psichiatrici, l'insufficiente disponibilità
di servizi di salute mentale nella comunità, gli schemi di assicurazione
iniqui e le pratiche di impiego discriminatorie sono soltanto alcuni esempi
[
]. Le soluzioni per i problemi di salute mentale non sono difficili
da trovare, molte di esse sono già con noi".
Il messaggio si conclude con
le parole:
"In questa giornata, il
nostro impegno è: 'salute mentale: contro il pregiudizio, il coraggio
delle cure'"
Questa semplice frase, la cui
traduzione in italiano non rende il senso dell'originale inglese: 'stop
exclusion: dare to care' (to care infatti è più il prendersi
cura, il curarsi di), rischia di rimanere uno slogan se non si può
riempire di significati non ambigui. Mi sembra utile riflettere su questo
punto.
I pregiudizi in gioco possono essere molti, innanzi tutto nel senso dello
stigma verso i pazienti di cui si occupa la psichiatria, "i nostri
pazienti", come diciamo spesso tra addetti ai lavori, accogliendo
quello che viene respinto ma continuando così a mantenerlo separato.
Pregiudizi per così dire popolari, ma profondamente radicati nella
psiche dell'uomo, come quelli che i malati di mente appartengano a un
ordine di realtà diverso, quasi una sostanza diversa da quella
dei sani di mente, oppure che la malattia mentale sia inguaribile, o che
essa implacabilmente generi atti di violenza improvvisi ed imprevedibili,
che sia inesorabilmente trasmessa ai discendenti, che sia una punizione
divina per una colpa, perfino il frutto di un'unione incestuosa, e così
via. Però pregiudizi meno grossolani possono essere operanti nella
psichiatria: per esempio quelli riguardanti una genesi esclusivamente
biologica, o psicologica, o sociale del disturbo mentale, e quelli, legati
ad essi in vari modi non sempre evidenti, relativi ai provvedimenti terapeutico-riabilitativi,
piuttosto che custodialistici, da prendere. Queste ultime espressioni
riflettono un linguaggio dal sapore un po' burocratico, che viene usato
spesso in psichiatria a fini difensivi di fronte al conflitto posto dal
fatto che la richiesta di 'salute mentale' avanzata dal paziente e/o dalle
persone che sono a contatto con lui è, di solito, strettamente
ed ambivalentemente intrecciata con un'altra richiesta, più o meno
esplicita, di 'controllo sociale'. Tutti questi pregiudizi tolgono spazio
alla psiche e possono interferire con la vocazione medica di aiuto alla
persona che soffre nella psiche, così vigorosamente riaffermata
dall'OMS.
3) Da dati internazionali
è stato calcolato che il 20-25% della popolazione adulta, nel corso
di un anno, soffre almeno una volta di un disturbo mentale clinicamente
significativo, di cui soltanto una parte molto esigua, calcolata intorno
al 10% delle persone affette, viene 'trattata' in servizi psichiatrici
pubblici o privati (M. Tansella et al., Giornata Mondiale della Salute
Mentale, 2001). Almeno nel nostro mondo occidentale, comunque, sembra
esserci una sempre maggiore consapevolezza della sofferenza mentale che
origina una forte domanda di salute mentale, cui vengono date risposte
molto diversificate. La 'cura' per la salute mentale appare un campo estremamente
variegato, in cui si intrecciano le più svariate modalità
di tecniche terapeutiche, centrate sia sul corpo che sulla mente, basate
su approcci più o meno scientifici, soltanto alcune delle quali
attengono alla psichiatria. Mi riferisco qui alla psichiatria come ad
una prassi clinica istituzionale, di pertinenza medica, che si avvale
di conoscenze specifiche derivanti sia dalla sfera biomedica che psicosociale,
conoscenze specifiche che configurano la psichiatria come branca della
medicina. Tale prassi si instaura in quel temenos particolare - e sacrale
- che da Ippocrate in poi è costitutivo dell'atto medico, tra due
soggetti di pari dignità ma di ruoli diversi che sono il medico
ed il paziente. La storia anche recente della psichiatria, come ci ricordano
le parole della dott.ssa Gro Harlem Brundtland, ci insegna però
che in questa prassi ci sono state molte cose che non sono andate bene,
che non hanno prodotto salute mentale, ma hanno casomai contribuito alla
patologia, e che da un punto di vista etico sono state discutibili, quando
non decisamente condannabili.
4) Negli ultimi decenni
nella storia della psichiatria hanno acquisito rilevanza soprattutto due
fenomeni, uno relativo alle modalità con cui l'assistenza psichiatrica
viene concepita e realizzata, l'altro relativo al substrato teorico e
scientifico a cui la psichiatria si riferisce nella sua attuazione pratica.
Il primo fenomeno riguarda la profonda modificazione avvenuta nel rapporto
tra cure nell'Ospedale Psichiatrico e cure nell'ambito della comunità,
e la sempre maggiore attenzione rivolta alla possibilità di impedire
che il paziente venga alienato, oltre che dalla patologia mentale, anche
da quello che dovrebbe esserne la terapia. Questo processo verso l'eliminazione
dell'Ospedale Psichiatrico, che si è attivato in molti paesi del
mondo occidentale, è molto complesso ed alla sua genesi hanno dato
il contributo fattori assai diversi, sia di tipo scientifico, che economico,
che politico (laddove hanno prevalso istanze di tipo economico - amministrativo
spesso le cose non sono andate nella direzione di una maggiore assistenza,
ma verso situazioni di abbandono, quando non di 'deportazione' in altre
istituzioni). Il cambiamento che ne è risultato appare davvero
epocale, rispetto alla prima metà del XX secolo, in cui il paradigma
dominante era ancora quello dell'Ospedale Psichiatrico come luogo esclusivo,
in tutti i sensi, del trattamento terapeutico ancor prima che della custodia.
Attualmente, nel mondo occidentale, sembra ormai opinione corrente, non
soltanto tra gli addetti ai lavori, l'idea che l'internamento e la concentrazione
dei malati psichiatrici in Ospedale Psichiatrico siano, nel migliore dei
casi, antiterapeutici, quando non eticamente condannabili.
In Italia la 'illuminata' (per usare la definizione datane dal Premio
Nobel R. Levi Montalcini) legge 180/78, più conosciuta come 'legge
Basaglia', ha dato origine poco più di venti anni fa ad un modello
di assistenza psichiatrica considerato all'avanguardia nel mondo, tanto
che è stata posta sotto osservazione da alcuni paesi, come la Francia,
per una sua esportazione. Nell'applicazione di questa legge molte cose
sono ancora da fare, e non sono mancate ombre su quelle fatte; comunque
da essa è stato dato un grande impulso al dialogo tra psiche e
psichiatria. La presenza nella comunità di pazienti che prima sarebbero
stati isolati ed esclusi, porta la psiche di ogni persona 'sana' ad un
confronto costante con la psiche di persone 'malate' che incarnano, per
così dire, la rappresentazione della malattia mentale che ognuno
ha. Accanto alle fin troppo comuni esperienze (assai enfatizzate dalla
stampa), di incontro con pazienti lasciati a sé stessi in situazioni
di deriva sociale, in cui la psicopatologia in sé appare meno dannosa
dell'abbandono e del degrado esistenziale, mi sembra interessante ricordare
i risultati di una recente ricerca sperimentale (P. W. Corrigan et al.,
Schizophr. Bull., 2001). Questi ricercatori del Centro per la Riabilitazione
Psichiatrica dell'Università di Chicago hanno investigato su come,
in soggetti sani, atteggiamenti psicologici di stigma rispetto alla malattia
mentale possano essere modificati da varie strategie, facendo un confronto
tra gruppi; dalla loro ricerca è emerso che la strategia che forniva
i maggiori cambiamenti era quella che comprendeva il contatto diretto
con i pazienti, rispetto ad altre basate su aspetti educativi od in qualche
modo ideologici, senza un contatto diretto. Sembra che la psiche sana
possa riconoscere la sua continuità con la psiche malata, e forse
riconoscere le parti sane in quella malata o anche le parti malate in
sé stessa, soprattutto attraverso la dimensione dell'incontro e
del dialogo. La 'psichiatria nella comunità', nonostante molte
resistenze, si va sempre più integrando con le varie risorse della
comunità stessa. Nascono associazioni di pazienti, di ex-pazienti,
di familiari di pazienti, addirittura, negli USA, di 'survivors', sopravvissuti
alla psichiatria. Si formano gruppi di 'auto-aiuto', gruppi di 'uditori
di voci'; attraverso Internet persone di vari paesi possono partecipare
a newsgroups di supporto per la schizofrenia, la depressione, e così
via. Anche le associazioni di volontariato si dedicano di più ai
problemi dell'assistenza psichiatrica. Si fanno più frequenti le
testimonianze di persone che riportano la loro uscita da gravi malattie
mentali, e si rendono promotori di iniziative per aiutare altre persone
anche ponendosi al di fuori del 'sistema psichiatrico' o in posizione
critica verso di esso. Da questi testimoni è stata sottolineata
l'importanza fondamentale, nel loro percorso di guarigione, di terapisti
o persone di sostegno che credevano in loro. In tutte queste realtà
la psiche è presente e viva, anche con le sue componenti malate
e distruttive, e si muove alla ricerca di una soluzione psichica alla
sua sofferenza. La psichiatria può dare risposte più o meno
valide a tutte queste richieste, può non essere in grado di rispondere,
ma dovrebbe sempre fare il massimo sforzo per ottemperare al principio
medico primum non nocere.
Il secondo fenomeno, relativo al substrato teorico della psichiatria,
sembra consistere nel declinare di un paradigma psicodinamico, specialmente
nei paesi anglosassoni dove era molto diffuso, e nella rapida ascesa al
suo posto di una psichiatria biologica molto assertiva, grazie al continuo
progresso della ricerca nel campo della genetica, delle neuroscienze,
della psicofarmacologia. Tale recente progresso ha fatto sì che
nella 'comunità psichiatrica' venisse da alcuni sentita una sorta
di nostalgia per la unione con la neurologia, specialmente in Italia dove,
a differenza degli altri grandi paesi occidentali, l'insegnamento universitario
della Psichiatria si è reso autonomo da quello della Neurologia
soltanto in tempi relativamente recenti; ricordiamo che, tra gli altri,
anche il prof. C. L. Cazzullo, presidente onorario della Società
Italiana di Psichiatria e 'padre' della separazione universitaria delle
due discipline, sostiene la necessità del mantenimento delle rispettive
autonomie che si è rivelata feconda per il progresso scientifico.
In particolare sono stati i progressi della psicofarmacologia ad avere
le maggiori conseguenze pratiche, contribuendo in misura notevole alla
possibilità di svuotare l'Ospedale Psichiatrico. La disponibilità
di farmaci sempre più perfezionati, efficaci sul piano sintomatologico
e con i minori effetti collaterali possibili, costituisce una risorsa
preziosa per la psiche, che non può avere alcuna nostalgia di un'epoca
pre-psicofarmacologica. D'altra parte usare in modo eccessivo, sproporzionato,
sbagliato, prescrizioni farmacologiche, o considerarle di fatto l'unico
provvedimento terapeutico, può costituire oggi un rischio molto
consistente per la psiche. Hanno fatto molto scalpore nel 1998 le dimissioni
di Loren Mosher, uno dei fondatori della notissima rivista 'Schizophrenia
Bulletin', dall'American Psychiatric Association, rassegnate perché,
a suo giudizio, la psichiatria americana era stata "quasi completamente
rilevata dall'industria farmaceutica". Il problema della eccessiva
enfasi data alla immediata risposta farmacologica per ogni richiesta di
aiuto, e quello dell'eccessiva ingerenza dell'industria farmaceutica nella
ricerca clinica, non riguardano soltanto la psichiatria, ma tutta la medicina.
Nell'editoriale del JAMA (Journal of American Medical Association) del
Settembre 2001, gli Editors di 12 autorevoli riviste mediche internazionali
hanno comunicato la loro decisione di porre delle regole molto severe
prima di pubblicare studi farmacologici, a garanzia dei ricercatori e
dei lettori, perché "l'uso di trials clinici aventi come scopo
primario il marketing [e non l'avanzamento delle conoscenze] costituisce
una sorta di caricatura della ricerca clinica ed un uso improprio di uno
strumento efficace".
6) Questo numero della Rivista di Psicologia Analitica è
stato dedicato al complesso e spesso difficile rapporto tra psiche e psichiatria.
Come psicologi analisti riteniamo infatti che una riflessione sulla effettiva
attuale prassi psichiatrica sia indispensabile tanto per il discorso sulla
psiche che per il discorso della psiche, secondo la nota concettualizzazione
di M. Trevi. Essa riguarda tutti, non solo quelli di noi, psichiatri o
psicologi, che sono impegnati 'sul campo' nelle istituzioni psichiatriche
pubbliche. E' qui appena il caso di ricordare quanta importanza C. G.
Jung stesso abbia attribuito alla sua esperienza psichiatrica e quanta
influenza il suo contatto, al Burgholzli, con la psiche alienata, abbia
avuto sulla messa a punto delle sue teorie e sulla nascita quindi della
psicologia analitica. Nel suo articolo C. Gullotta affronta in modo approfondito
tutte queste tematiche. Vorrei solo citare un passo di Ricordi, Sogni
e Riflessioni, in cui Jung ricorda la sua decisione di dedicarsi alla
psichiatria, dopo la 'folgorazione' avuta dalla lettura della prefazione
del Lehrbuch der Psychiatrie di Krafft-Ebing, passo in cui mi sembra che
aspetti Ombra della figura dello psichiatra vengano messi bene in evidenza:
"Nessuno, nemmeno io stesso,
aveva mai supposto che potessi avere il desiderio di mettermi per una
strada così appartata e oscura. I miei amici erano stupiti e fuori
di sé, ritenendomi un pazzo che gettava via l'invidiabile e allettante
possibilità [
] di una carriera in medicina interna, in cambio
di vaneggiamenti della psichiatria".
Credo che il vertice, prendendo
a prestito un termine di Bion, da cui la psiche possa osservare la psichiatria,
in questa strada così 'appartata e oscura', sia quello della realtà
psichica, nella particolare accezione che ne ha data Jung, come unica
realtà che siamo in grado di sperimentare direttamente. La psichiatria,
anche se è una branca della medicina, non dispone (ancora?) di
dati strumentali, oggettivi (come una TAC, una glicemia, un'urinocultura),
con cui confrontare i dati clinici, cosa che rende in essa maggiore il
rischio, presente in ogni ambito della medicina, di forzatura inconsapevole
dei fatti clinici per farli rientrare in tale o talaltra teoria. Per questo
gli psichiatri, in modo spesso incomprensibile e fuorviante per i non
addetti, hanno a lungo parlato per esempio di ipotesi patogenetiche, biologica
o psicologica o sociale, come di teorie alternative e separate, da cui
discendono trattamenti altrettanto divergenti: il risultato nella prassi
ha dato luogo sia a rigidità prevaricanti, sia ad eclettismi onnipotenti
ma in realtà impotenti, anche contro le migliori intenzioni terapeutiche.
Attualmente si parla più volentieri di una genesi bio-psico-sociale,
variamente articolata ed espressa nelle sue componenti, ma spesso questo
tipo di definizione non sembra fornire altro che una sorta di forzatura
integrativa, senza che ad essa corrisponda, negli operatori, né
un modello epistemologico preciso né una situazione esperienziale
che possano orientare in questa complessità e tradursi in modalità
di intervento congrue. Negli ultimi anni il modello che ha avuto il massimo
sviluppo in psichiatria è stato quello medico-specialistico, attento
alle esigenze della evidence-based medicine, (basti pensare all'uso del
DSM IV e delle guidelines per le varie patologie su di esso individuate);
ma, come sottolinea C. Munizza, attuale presidente della Società
Italiana di Psichiatria,
"si ritiene spesso che
'scientifico' in medicina voglia dire soltanto elaborare linee-guida e
protocolli per orientare il terapeuta, dimenticando che al centro ci sono
il paziente e la relazione terapeutica da cui possono nascere soluzioni
diverse e a volte non catalogabili".
Dovrebbe essere fuori discussione
che l'incontro psichico medico-paziente è almeno altrettanto importante
in psichiatria che negli altri campi della medicina; noi pensiamo che
esso, e la relazione terapeutica che ne deriva, sia il nucleo centrale
attorno al quale si dispongono tutte le altre componenti della prassi
psichiatrica.
La psiche del medico (o meglio, dell'operatore psichiatrico in genere),
con tutte le sue caratteristiche, tra cui anche la competenza psicopatologica
e psicofarmacologica, si incontra con la psiche sofferente del paziente,
e questo incontro può diventare terapeutico o meno. In psichiatria,
più che in altri settori della medicina, le qualità psichiche,
individuali e di gruppo, degli operatori, medici psichiatri, psicologi,
infermieri, hanno una notevole rilevanza comunque, qualunque sia il tipo
di trattamento intrapreso. Anche se può risultare indispensabile
somministrare psicofarmaci, bisogna accettare l'evidenza che "nessun
farmaco può dare al paziente la comprensione di cui ha bisogno",
come afferma in modo molto incisivo S. Resnik. Attualmente si stanno facendo
strada i modelli di 'terapia integrata', che cercano di costruire un intervento
terapeutico in cui le varie componenti (psicofarmaci, psicoterapia individuale,
psicoterapia familiare, riabilitazione, interventi sociali, etc.), non
vengano semplicemente giustapposte, come il più spesso avviene,
ma vengano centrate intorno ad un senso globale unitario. Questo può
essere visto non soltanto come un miglioramento di qualità nell'organizzazione
dell'assistenza, ma come un vero e proprio progresso tecnico della terapia,
che attiene alla specificità del campo di intervento: la psiche
del paziente, una anche se magari divisa dalla patologia.
La realtà psichica, che ogni operatore psichiatrico incontra nella
sua immediatezza nell'attività quotidiana, allo stato attuale delle
conoscenze non appare suscettibile di essere riduzionisticamente riferita
ad una realtà neuronale, indagabile esclusivamente con i metodi
delle neuroscienze, e neppure a quello che potremmo chiamare una realtà
sociologica. La prassi psichiatrica ha, realisticamente, necessità
di farmaci e di interventi sociali, ma non sempre questi interventi vengono
inseriti in una prospettiva che miri appunto alla 'cura della psiche'
di quella determinata persona, con le sue caratteristiche uniche ed irripetibili,
frutto della sua storia individuale unica ed irripetibile, in cui accanto
alla costituzione genetica, troviamo gli accadimenti della vita reale
e di quella fantasmatica che l'hanno plasmata.
L'accoglimento della dimensione psichica, o dell'Anima, termine che compare
nei titoli di alcuni dei lavori qui raccolti, appare ineludibile per una
cura che voglia dirsi veramente psichiatrica, e non voglia rischiare di
diventare una 'pseudo-neurologia' o una 'pseudo-assistenza sociale'. Porre
il centro di gravità sulla realtà psichica non significa
tanto sviluppare nella prassi psichiatrica le possibilità di trattamenti
psicoterapeutici individuali, di gruppo, familiari, o anche istituzionali
- come elementi di alta o bassa tecnologia disponibile ad un'istituzione
-; significa piuttosto riconoscere al centro di ogni intervento, di qualsiasi
tipo, lo specifico costituito dalla individualità psichica irripetibile
della singola persona. Per questo appaiono necessari gli strumenti di
base costituiti dall'ascolto, dall'empatia, dalla donazione di senso attraverso
il dialogo terapeutico, strumenti alla cui messa a punto hanno appassionatamente
lavorato intere generazioni di psichiatri di orientamento psicodinamico
e antropofenomenologico, di psicoanalisti di varie scuole, di psicologi
analisti.
7)
Questa raccolta presenta
un panorama indubbiamente limitato e parziale, che è però
il frutto della scelta di situarsi, nel dibattito attuale sulla psichiatria,
'dalla parte della psiche'.
L'incipit del percorso di lettura proposto è dato dal lavoro in
cui Eugenio Borgna individua la necessità, di fronte alla 'vertiginosa
ascesa' delle neuroscienze, dell'autonomia della psichiatria. Con grande
rigore e chiarezza l'Autore ne delinea il particolare statuto, sia riguardo
al suo oggetto di conoscenza che alle modalità terapeutiche, partendo
proprio dalla considerazione che l'oggetto della psichiatria è
in realtà un soggetto.
Concetto Gullotta ripercorre il pensiero di C. G. Jung attraverso il 'filo
rosso' della teoria dei complessi, che considera il nucleo forte della
teoria junghiana. Ne mostra le radici storiche e psicologiche nel periodo,
dal 1900 al 1909, in cui Jung lavorò all'Ospedale Psichiatrico
di Zurigo, il Burghozli, diretto da E. Bleuler, il creatore del concetto
di 'schizofrenia'. A questo proposito Gullotta ritiene particolarmente
significativo un testo del 1907, Psicologia della dementia praecox, in
cui Jung utilizza le manifestazioni psicopatologiche per tracciare una
visione generale della psiche, che rimarrà il nucleo di tutte le
teorizzazioni successive.
L''esperienza' che viene proposta dalla lettura del lavoro di Piergiacomo
Migliorati rimanda ad un impegno di lavoro integrativo nei passaggi tra
analisi-senso comune-pensiero teorico analitico; un impegno volto ad attingere
all'esperienza per non cadere nell'astrazione, un impegno che non semplifica
il lavoro di integrazione, perché sottolinea i 'distinguo' semantici
ed epistemologici, ma invita infine a tollerare l'aporia tra l'immediatezza
dell'esperienza e la successiva mediata proposta dell'ipotesi. Migliorati
conclude con un invito alla consapevolezza che il vero non ci appartiene.
Giuseppe Maffei mette in evidenza come a partire da Freud, e in tutta
la storia della psicoanalisi, il problema nosologico si sia posto e abbia
avuto una sua evoluzione, e come abbia potuto emergere nel tempo anche
il paradosso intrinseco a queste esigenze essenzialiste. Il frammento
di una situazione clinica esplicita acutamente, come in una metafora,
il nodo di articolazione tra l'esigenza 'nosografica' dello psichiatra
e quella 'nosologica' dello psicoanalista, e soprattutto l'utilità
di questa articolazione nell'ambito della cura.
Adriano Pignatelli affronta la psicopatologia come intreccio del "discorso
del dolore della psiche" con "il discorso sulla psiche malata",
e sottolinea la necessità di rivedere alcune concezioni analitiche
classiche, in primo luogo quelle relative all'azione, per poter aiutare
il paziente a fruire della dimensione simbolica, momento più qualificante
del lavoro terapeutico.
Il lavoro di Carlo e Rita Brutti ci avvicina a prospettive che propongono
un radicale rovesciamento dei criteri usuali, tanto che per primi essi
si aspettano di poter "suscitare scandalo". Gli Autori si interrogano
sulle derivate di luogo e di modalità di azione dei farmaci-psico-farmaci,
ricordando con Freud che "ogni cura riguarda il territorio nella
sua interezza". Nell'intento di superare una rigida divisione tra
fisico e psichico, esemplificata dalle opinioni di F. Crick, affermano
che l'uomo può essere visto come un insieme sia di atomi che di
emozioni, quindi un'interiorità. L'interiorità è
estensibile a tutto l'universo; seguendo il pensiero di L. Chiozza, il
modo di azione dei farmaci diventerebbe così un'interazione fra
interiorità.
Marcello Pignatelli affronta un tema assai importante, che spesso viene
scotomizzato sia dagli psichiatri che dagli psicoanalisti: quello della
violenza nella malattia mentale. Fin dal titolo, 'L'anima divisa nelle
strette della violenza', ci sentiamo rimandati alla esperienza di scissione
e violenta amputazione dell'Io provata dai pazienti, ma anche ricondotti
ad un monito di quante e quanto pericolose divisioni possano fare le ideologie.
La sua conclusione è una proposta: accettare l'assunzione di un
equilibrio instabile tra la forza dell'ideale e l'esigenza della prassi.
Con quello di Francesco Scotti inizia una serie di sei contributi (oltre
al suo, quelli di Russo, Lo Cascio, Devescovi, Massimilla, Rossano) che
hanno come oggetto aspetti della prassi psichiatrica visti 'sul campo'
del lavoro istituzionale. Scotti si chiede se, quando lasciamo da parte
le concezioni teoriche per osservare la reale pratica psichiatrica, l'osservazione
non ci porti a concludere che stiamo sviluppando una psichiatria senz'anima,
cioè una psichiatria che ha perso l'idea che una funzione unificante
dell'apparato mentale sia presente e suscettibile di azione anche nelle
situazioni più disperate, una psichiatria che ha rinunciato alla
possibilità di raggiungere attraverso un dialogo quel "qualcosa
di sano [che] esiste anche in coloro che hanno bisogno di cure psichiatriche".
Anche se molti indizi farebbero propendere per il sì, una risposta
generale non è data, dipendendo molte delle caratteristiche della
pratica psichiatrica da realtà culturali, storiche, politiche 'locali'
di città ed interi paesi.
Il paradigma gruppale è al centro del lavoro di Paola Russo, che
verte sul "rapporto inestricabile che lega individuo, gruppo ed istituzione",
dove l'istituzione in gioco è quella psichiatrica, in concreto
i Servizi per la salute mentale in Italia, costituiti a partire dalla
legge 180/78. Attraverso un ampio ed articolato excursus che utilizza
apporti della psicoanalisi, delle teorie dei gruppi, della psicologia
analitica, l'Autrice conclude che "l'integrazione non è l'interazione
sui vari trattamenti, ma la capacità dell'équipe di riflettere
su se stessa e sul senso delle proprie scelte", attraverso spazi
di pensabilità non possibili per il singolo ma attivabili nel gruppo.
Antonino Lo Cascio ci offre un contributo che è anche espressione
dell'attività di riflessione del GARPAS (Gruppo per l'Approfondimento
e la Riflessione sull'uso della Psicologia Analitica nei Servizi), formato
da membri ordinari e candidati di AIPA e CIPA , e da lui coordinato. Esso
ci porta immediatamente nel vivo di un conflitto, quello tra prassi psichiatrica
e prassi analitica, ed evidenzia la possibile insorgenza in chi opera
di una coppia di opposti autenticità/inautenticità, ed analizza
dettagliatamente molte delle possibili configurazioni che la caratterizzano,
in quella che definisce un contratto a tre, in cui il terzo è l'istituzione
psichiatrica. Propone condizioni all'autenticità che intravede
nel dialogo tra la realtà clinica nell'ambito duale e la dimensione
oggettivante dell'istituzione, rimandando in ultima analisi al dialogo
interiore tra l'autenticità professionale e quella dell'individuo.
Pier Claudio Devescovi, attraverso tre casi clinici seguiti in psicoterapia
nel Servizio pubblico, mette in evidenza l'ineludibilità della
presenza dell'Anima, intesa come istanza psichica che "riflettendo
la via stessa, la propria storia, spinge verso una ricerca di senso",
anche nel contesto di una cura psichiatrica centrata sulle prescrizioni
psicofarmacologiche.
Barbara Massimilla offre un interesse specifico: il lavoro sulle psicosi,
con un'estrema attenzione alle articolazioni intrapsichiche e agli elementi
interattivi. La realizzazione incontra una doppia visuale, quella individuale
e quella familiare, e si imbatte nel significato di 'trasporto' psichico
inter- e trans- soggettivo. In questo percorso dal 'buco' al 'blocco'
di realtà si transita verso un lavoro che fa approdare ad una realtà
diventata desiderio, e attraverso l'irrappresentabile ci propone un difficile
ed intenso lavoro integrativo come modello di cura.
Fausto Rossano presenta le sue riflessioni su un'esperienza effettuata
in un luogo all'apparenza estremamente lontano dallo studio analitico:
un Ospedale Psichiatrico, il Leonardo Bianchi di Napoli. Qui il sapere
psicodinamico della task-force psichiatrica inviata dall'Autorità
Giudiziaria, per le condizioni di degrado in cui esso versava, non poteva
declinarsi ovviamente in un modello operativo in cui venissero effettuate
psicoterapie ai pazienti, o psicoterapie dell'istituzione, ma si doveva
confrontare con l'opzione della chiusura del manicomio, non soltanto struttura
fisica ma essenzialmente categoria mentale.
Il luogo proposto da Piero Coppo è il luogo 'altro', come visto
dall'etnopsichiatria. Attraverso un puntuale riferimento linguistico,
egli offre all'universalismo del linguaggio, che è egemonia ed
omologazione, un 'altrove psichico'. Si interroga come operare e tradurre,
e propone sistemi di apertura e cooperazione: lavorare con gli altri per
aprire transiti che generino guadagni di conoscenza.
Sergio Mellina, a partire dalla psiche, applica il punto di vista etnopsichiatrico
allo sviluppo della psichiatria. Egli traccia una 'breve storia', ma densa
di riferimenti e rimandi, dei rapporti nel pensiero occidentale tra psiche
e senso religioso, filosofia, psicologia, medicina, rapporti evoluti in
un conflitto che ha portato prima ad una psicologia senz'anima, poi ad
una psichiatria senz'anima né corpo, come quella asilare. Una speranza,
anche se molto fragile, potrebbe essere riposta nell'etnopsichiatria.
Anche il lavoro di Aldo Carotenuto ci confronta con un 'altrove', ma questa
volta sotto il profilo letterario. Prendendo spunto da Traumnovelle di
A. Schnitzler e dalla trasposizione cinematografica che ne ha fatto S.
Kubrick in Eyes wide shut, Carotenuto esamina la tematica del 'tradimento',
e ci mostra come esso implica anzitutto una ricerca di significatività,
che per il soggetto in gioco può essere trovata soltanto in un
'altrove', mantenendo così - attraverso il tradimento- fedeltà
alle esigenze della propria anima volta alla ricerca dell'Altro.
La rivista si conclude con il ricco e appassionato articolo di Bruno Callieri,
che sottolinea l'attualità dell'approccio fenomenologico nel mantenere
viva una "perpetua interrogazione sul senso antropologico della prassi
psichiatrica". L'Autore introduce il nodo della intersoggettività,
tanto 'duro' per la psichiatria, con un'apertura: l'antropologia dell'incontro.
Qui l'approccio psicoanalitico assume una posizione di 'terzo', interpolato
tra le spiegazioni neurobiologiche e le dimensioni antropologico-esistenziali,
e vengono messi in evidenza i punti di passaggio dal transfert all'incontro.
All'interno di un atteggiamento di fondo volto a fare emergere il compimento
di senso di ogni esperienza clinica e terapeutica, si delinea così
un transito verso la reciprocità della coscienza dove l'essere
a due diventa un'identità eterogenea: si riceve l'altro per restare
altro.
8) Per finire, una speranza
e un augurio. La speranza è che al termine della lettura di questa
raccolta, le domande presentate all'inizio di questo editoriale, più
che ricevere risposta, facciano nascere ulteriori domande in un allargamento
progressivo dell'orizzonte proposto. L'au- gurio è che tutto questo
possa contribuire a rafforzare quel 'coraggio dell'aver cura' ("dare
to care"), proposto dal messaggio dell'OMS, che appare oggi, non
soltanto in psichiatria, così necessario: esso non sembra potersi
realizzare senza il 'coraggio dell'aver cura della psiche'.
Stefano Carrara
Un sentito ringraziamento
va a Marina Breccia (Società Psicoanalitica Italiana) per il suo
gentile e valido contributo.
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